Difficile spiegare “Le Fabuleux destin d’Amélie Poulain”.
Ricordo di averlo visto a un cinema d’essai, poltrona di galleria, parte destra
della sala guardando lo schermo
Mi travolse, letteralmente. Lo vidi due, tre, quattro,
cinque, forse sei volte durante lo stesso anno. Nello stesso cinema, la stessa
settimana, durante le arene estive quando lo rincorrevo di comune in comune.
Poi uscì in VHS e lo comprai subito per rivederlo fino allo
sfinimento. Poi il doppio DVD, ovviamente.
Non credo di averlo più rivisto da anni ma talvolta il DVD
mi segue durante i miei viaggi all’estero e, chissà, probabilmente una sera
prenderò l’occasione per rivivere lo stesso piacere che provai durante la prima
visione.
Non so dire cosa 10 anni fa mi avesse realmente colpito del film. Ne ero
completamente ammaliata. L’estate successiva siamo andati in vacanza a Parigi
esclusivamente per effettuare il pellegrinaggio su tutti i luoghi del tournage.
All’epoca ero ancora totalmente avvolta
nella visione adolescenziale e immatura della vita (pur avendo già superato con
gli anni quel limite) e rimasi
affascinata da quella musica, dalle emozioni, da quel turbine di colori, di
prevalenza rosso e verde. Una stanza del mio appartamento ha le pareti della
stessa tonalità di verde semaforo e a mia cucina è rossa. E chi se ne frega, riprendiamo a parlare del
film.
Dal punto di vista tecnico la pellicola è un piacere per gli
occhi. Il montaggio amalgama alla perfezione musica, rumori e fotogrammi. Le
scene si susseguono briose come damigelle ad un giro di valzer. Gioia e
malinconia, morte e vita, piacere e dispiacere. Tutto può mutare in un attimo,
la vita può girare quando meno ce lo aspettiamo.
La notizia della morte di Lady D trasmessa alla televisione
è subito collegata alla sorpresa di Amélie che lascia incautamente cadere il
tappo della bottiglia di profumo, il quale rimbalza fino a toccare uno
zoccoletto della pavimentazione, facendo scoprire ad Amélie un cimelio
nascosto. Fine di Lady D. Siamo talmente presi da Amélie che non ci accorgiamo
quanto feroce e cattiva sia questa scena. Appena trovato il cimelio Amélie si
volta verso la televisione e con un gesto deciso sul telecomando ne annienta le
immagini, come se volesse uccidere una seconda volta la sfortunata principessa.
Non disturbarmi, non vedi che ho trovato una scatoletta di latta arrugginita
con delle biglie di vetro all’interno?
Il mondo esterno non conta, esistiamo solo noi stessi. Abbastanza feroce come scena, nonostante sia
camuffata da poetica, sostenuta dal narratore che ne decanta l’emozione provata
dalla ragazza nell’aprire quella scatoletta polverosa. E poi Amélie si
dedicherà agli altri! Intanto una donna di nemmeno quaranta anni finiva la sua
breve vita di falsa gloria.
Le emozioni di Amélie si intervallano continuamente, lasciando
come finale la morale già proposta ne “L’Attimo Fuggente”: cogli l’attimo e
goditi la vita.
Pellicola furbetta dunque, divertente e ben girata, ma
veramente ben girata. Il vero
protagonista del film non è la fanciulla con le camiciette e le gonnelline a
trine, vero must-have, ma è il narratore (il grande André Dussoulier
nella versione originale), calda voice-off che come rivolgendosi a un gruppo di
bambini, narra la storia ad un pubblico pagante. Manca solo il bacio della
buonanotte e la buona dormita è assicurata.
Ad ogni modo non possiamo negare che il personaggio di
Amélie incanta, specialmente se non vediamo il film in versione originale.
Solitamente la VO è migliore della versione doppiata, anche perché abbiamo la
possibilità di gustare (laddove possiamo) le finezze e le differenze della
lingua originale, la musicalità delle parole, le sfumature impossibili da trasformare in
un’altra lingua formata da un’altra cultura, con un altro bagaglio di parole e
modi di dire. Conoscendo sufficientemente il francese ho apprezzato molto
questa possibilità durante la visione di diverse pellicole (insuperabile “Tre
uomini e una culla”ovvero “Trois Hommes et un Couffin”. Unico)
No, la magia non funziona per Amélie. La Tatou è carina al
punto giusto e, ai tempi, era giovane al punto giusto per incarnare una giovane
donna che racchiude in sé una miscela di sfacciataggine adolescenziale e di timidezza matura. Era
perfetta. Con la voce italiana, un incanto. Indovinello: cosa hanno in comune
Valeria Golino e Audrey Tatou? Il fatto che se fatte recitare con un’altra voce
riescono a essere meravigliose. Potrei dire la stessa cosa di Monica Bellucci
ma purtroppo qui la falla non è solo nella voce, in questo caso è proprio la
recitazione che manca. Conferma del fatto che non possiamo avere tutto nella
vita. Tornando alla categoria delle attrici, ho sempre detestato Valeria Golino
finché non ho visto “Frida”, dove recita appunto doppiata da un’altra donna con
una voce vera e ho scoperto che è una grande attrice. Per la Tatou il percorso
è stato inverso. Era meravigliosa finché non ho visto il film in VO. Credo di
non essere arrivata alla fine, era insopportabile.
In Francia, come al solito, ne fecero un caso Nazionale. E
quando mai? Ricordate “Les Visiteurs”? Jean Reno alle prime armi in un film
demenziale. Un successone. Qualche anno fa è scoppiato giustamente “Bienvenue
chez les Ch’tis” /“ Giù al Nord” di cui gli italiani hanno subito fatta propria
l’idea trasportando i protagonisti al Sud Italia, dall’originale Nord Francese.
Il film francese è di gran lunga superiore e decisamente divertente. In Francia
sembravano pazzi durante il primo week-end di programmazione. Ultimo nella
lista “The Artist” il film che, come osserva il “Nouvel Observateur” : “Ha
vinto 5 Oscar perché gli americani non si sono accorti che il film era
francese”. Adesso l’attore Jean Dujardin è dappertutto e i cugini d’Oltralpe
stanno già, a mio avviso, superando la soglia del tollerabile. Ho recensito
“The Artist” ed è un grande film. Però adesso basta.
“Le Fabuleux Destin d’Amélie Poulain”, per una favola da
gustare in famiglia, tra crème-brûlée, nani viaggiatori, quadri di Renoir e
grandi occhi neri. Spengete il pc e accendete il lettore DVD.
Buona visione
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